PIOGGIA
La pioggia si presenta a marzo e non ci abbandona fino a ottobre. Mia
nonna dice che in questo modo gli dei ogni anno ci puniscono per il male
che facciamo, scatenando temporali improvvisi e violenti, ma aggiunge
anche che ci premiano con le lacrime del cielo, perché l’acqua è vita per il
riso, per la natura tutta, e per la nostra esistenza. Non avremmo montagne, colline e vallate tappezzate di un verde profondo e lucente senza le nostre piogge.
La vita in Thailandia regala splendide giornate di sole anche nella stagione
delle piogge e quelli sono i giorni più desiderati. Fa caldo e il vento e l’acqua rendono il cammino meno faticoso e talvolta giocoso.
Giocoso, si! La parola precisa che esprime uno dei miei ricordi. Oggi sono
un medico stimato nell’ospedale della capitale. Sono la dott.ssa Yun Lee,
specializzata in pediatria e nel mio studio a volte incontro anche uomini e
donne che vengono dalla mia regione nella Thailandia Centrale con territori estesi coltivati a tabacco.
Vivevo in un villaggio e sopra di noi c’era una montagna alta come il cielo. Ero bambina e quando andavo a scuola dalla finestra della grande capanna vedevo sempre le nuvole sparire e comparire dietro la vetta più alta, verde, verde di un verde che specchiava la luce del sole e imprigionava le ombre delle nuvole scure.
Visito tanti bambini e a volte li vedo tristi, non perché malati, ma perché
sofferenti per mancanza di quella gioia che scaturisce come acqua di fonte
per la libertà dei movimenti. I bambini faticano in città. Dove vanno a
giocare i bambini? Ricordo che tornando da scuola con mio fratello e mia
sorella ci nascondevamo nelle piantagioni di tabacco infilandoci tra le alte
foglie, facendo versi di animali per spaventarci. Ci nascondevamo senza paura: da quel meraviglioso, intricato labirinto verde noi saremmo sempre usciti. Era suggestivo, soprattutto quando pioveva leggermente e le gocce delicate scivolavano sulle foglie, sul nostro volto e sul nostro corpo.
Correvamo tra le piante e il signor Fu Chiang, il padrone delle piantagioni, ci minacciava di lasciare liberi i suoi rabbiosi cani. Il signor Fu Chiang non
sapeva che talvolta i suoi cani correvano liberi come noi e con noi: e ci
saltavano addosso festosi e leccanti, e mai, tra le foglie, ci avrebbero ferito.
Solo imitato. Il loro abbaiare era la gioia della libertà, non l’aggressività di
un guardiano.
