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RAGAZZA DI TANGERI

 

Sono nata a Tangeri un giorno di vento, in una strada rovesciata dal

levante e il vento mi ha sempre portata via, ovunque la docile brezza o

la sferzante tramontana spirassero. Il mio nome è Jasmine, frutto della

terra e dell’amore di mia madre per la Francia. Non ho mai conosciuto

mio padre, né ho mai voluto che mia madre me ne parlasse. Mi è sempre

bastata lei, e un giorno mi ha detto che dovevo andarmene ché Tangeri

sarebbe stata una prigione per una ragazza senza un padre.

Il vento mi ha sollevata e sono fuggita via, con lui, rapita da un amante

possente e delicato, che sparisce, per riapparire come il sole e la pioggia.

A Marsiglia sognavo di diventare una cantante, a Cadice di studiare medicina,

a Firenze di aprire una negozio di pietre orientali lavorate, di collane

e bracciali di cuoio.

Ho lavorato, oh, se ho lavorato, finché il vento mi ha spinto lontano,

riportato nella mia terra, posandomi come un granello di sabbia. Il mio

è stato un viaggio circolare: dal sud al nord attraverso l’occidente e di

nuovo al sud passando per l’oriente. Una completa rosa dei venti. Sono

nata di gennaio e in Italia mi hanno raccontato che il Capricorno ha un

carattere fermo, affidabile, indomito e con un fervore vitale che si legge

negli occhi. Sono tornata per speranze cadute e speranze rinnovate.

Tangeri è un luogo difficile anche per chi ha un padre per difenderti e io

ho imparato a farlo da sola, anche se essere donna in Francia non è come

essere donna in Marocco. Mi copro il viso, i capelli e il collo per evitare

commenti e per non dare appigli a chi ritiene che una donna è solo un

possesso. Un silenzioso modo per difendermi. Mia madre, morendo, mi

ha lasciato i sacrifici di una vita. Le sue fatiche, oggi, sono il mio lavoro

e il mio locale caratteristico per turisti nella Tangeri Vecchia, tra le case

bianche addossate mirabilmente sulla collina piena di luce d’oro.

Si chiama ‘La strada ventosa’. Agli stranieri piacciono i cibi speziati, i sapori

forti e sapidi. Parlo più lingue e questa è la mia fortuna. Il vento porta

una voce: con semplici e convincenti parole la padrona del locale descrive

la forza tradizionale di un piatto, la sua peculiare bontà come nessun

altro sa fare nella Città Vecchia.

Le pareti sono azzurre come il Mediterraneo che si sposa con l’Oceano,

rosse come le montagne del Marocco a meridione e ocra come il sole

che annuncia il tramonto sul minareto. Tangeri oggi mi protegge anche

nelle malinconie degli antichi insuccessi. La cucina mi ripaga e mi ripaga

bene. Servo, col viso in parte coperto da un velo per la discrezione che

suscita curiosità e gli uomini amano immaginare. Questo è un giorno

guidato dal vento e la linea dell’Oceano è marezzata di verde e azzurro.

Dalla finestra guardo il minareto e dalla cucina si spande sulla strada,

fino ai tetti, profumo di aglio e cipolle saltate in padella.

Vorrei che il vento mi portasse ancora con sé nel mondo, per un attimo, o

portasse il sorriso di un uomo in fondo alla strada. Per sempre.

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