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LUI: L’ATTESA

 

Il mio nome è Asif e sono un Amazigh, ‘un uomo libero’ e vivo nel deserto.

Il popolo cui appartengo è conosciuto col nome di Berbero, una parola

che ho imparato nei mercati delle oasi e nei villaggi sulle montagne: una

parola francese e araba che significa barbaro. Sono stato a scuola in una Kasbha fino all’età di dodici anni. So leggere e scrivere, suono il flauto di canna e mi piace ascoltare i racconti degli anziani intorno al fuoco o seduto accanto a una tazza di thè.

Ho sedici anni, curo le pecore e le capre della famiglia, mio padre e mio

fratello maggiore si spingono con i cammelli nelle oasi e nelle Kasbha del deserto per commerciare con i Tuareg, gli uomini blu che entrano fino nell’occhio del sole protetti solo dai loro copricapi. Li ho visti una volta: mi hanno fatto paura, ma invidio la loro forza e vorrei essere uno di loro. Sono fieri e non temono né la morte, né il sole, e mia nonna, un pomeriggio mentre bevevamo il thè nero delle montagne, mi ha raccontato che sono figli del sole e della luna, del vento e della tempesta di sabbia. Per questo osano spingersi dove nessun uomo può andare.

Noi Berberi amiamo la solitudine della sabbia e la fantasia dei racconti

delle gesta degli eroi.

Ho sedici anni e mio padre mi ha portato a un Moussem, luogo del grande incontro annuale di noi Berberi. Permette di incontrarci, mercanteggiare, fare affari e soprattutto facilita matrimoni. Siamo giunti da tutto il Maghreb a Imilchil, un piccolo villaggio dell’Alto Atlante a 2600 metri di altezza. A settembre il sole sa essere dolce come il miele e qui, oggi, sceglierò mia moglie.

Ci fermeremo tre giorni, dormiremo nelle tende. Non ci si conosce, ma

ci si aiuta ad abbeverare cavalli e cammelli, e nelle tende, quando la luce opprime gli occhi si ascoltano favole e storie del deserto accompagnate da strumenti a corda. Al tramonto e quando fa notte, le donne ballano ornate di gioielli splendenti come il cielo, nel sole rosso e sotto le stelle, intorno al fuoco. Per tutto il giorno i tamburelli e i flauti scandiranno le ore. Guarderò danzare le giovani più belle.

Sceglierò la mia sposa. Mio padre ci darà la casa, i mobili, i tappeti. Lei

porterà in dote vari abiti, gioielli e il costume da sposa impreziosito d’oro.

La sposerò nella prossima estate. I miei genitori, tre giorni prima, andranno da suo padre. Offriranno dei soldi. Poi, Lei sarà tatuata con l’henné sul corpo, i piedi, e le braccia per gli auspici di fertilità. Ci saranno otto giorni di festa e Lei arriverà nella mia casa su un trono ricoperto di preziosi tessuti.

Lei sarà la mia regina. Per questo oggi indosso un abito color del deserto e del miele. Perché è un giorno di festa.

Asif non sa ancora che la prima sera a Imilchil sarà stregato da una ragazza che agiterà il ventre di fronte a lui, nel riflesso di una possente luna. La luce di un corpo confonderà la luce delle stelle e chiarirà la scelta del suo cuore.

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