INCONTRI
A dodici anni ho incontrato Chakir. Ero in Marocco nel paese di Abir a due passi dal mare e dal deserto, rosso come un tramonto di fuoco.
Una vacanza con mio padre, mia madre, mio fratello e una famiglia di amici marocchini vicini di casa.
Il secondo giorno uscii di casa a metà mattino dopo colazione. Il papà ci aveva preceduto per prendere un’auto a noleggio. Abitavamo in una grande casa su una piccola piazza bianca e grigia, chiusa da mura scalcinate oltre la quali si vedeva il mare. Aspettavo la mamma che stava per scendere dalle scale. Un carretto di frutta e verdura mi venne incontro. Lo spingeva
una signora dai capelli neri una camicia bianca e un luminoso sorriso.
L’accompagnavano i suoi quattro figli. Avevo intuito che si dirigevano al mercato vicino al porto. Il più piccolo, Chakir, minuto, ma dallo sguardo deciso mi venne incontro e mi porse una mela. Rimasi fermo senza sapere se prenderla. Non avevo niente in tasca e in Marocco avevo visto molti bambini chiedere l’elemosina.
Disse qualcosa con un sorriso e sentii la voce di sua madre ribadire, con lo stesso sorriso, l’invito.
Allungai la mano e subito con voce ferma mi chiese qualcosa, credo in francese. Compresi soltanto la parola football, che non è francese, ma va bene in tutte le lingue.
Poi con le mani indicò un cerchio. Un pallone. Tutto mi era chiaro. Voleva il mio pallone o perlomeno giocare con il mio pallone.
Mi aveva visto il giorno prima da solo nella piazza. Palleggiavo, tiravo la palla contro il muro, fingevo partite immaginarie.
Voleva giocare con me. Annuii col capo e non c’era bisogno di darsi un appuntamento: quando mi sarei presentato in piazza lui ci sarebbe stato.
Nel tardo pomeriggio, dopo la visita nell’entroterra su un gippone, presi il pallone e scesi nella piazza deserta. Chakir spuntò da una viuzza con il sorriso più felice del mondo. Il mio pallone a scacchi divenne il motivo dei nostri incontri. Chakir si portò gli amici e le partite non furono più immaginarie. Dopo ogni incontro Chakir prendeva da uno zainetto una
mela offrendomela, sorridendo con i denti bianchi e tutti in fila. Era il suo sorprendente modo di ringraziarmi prima di scappare via, senza dire una parola, solo con un cenno della mano.
L’ultimo giorno di permanenza portò una cesta di mele per la mia famiglia.
Il papà mi disse di regalargli il pallone. Chakir mi abbracciò con foga prima di scomparire verso il mare. Oggi lui deve avere diciotto, al massimo vent’anni. Spero possa diventare un campione di football e oggi, che sono diventato un calciatore professionista, lo possa incontrare sul campo di un
grande stadio e avere un’altra mela, magari, in cambio della mia maglia.
